Regole univoche
Imbrigliare il territorio tra confini e normative è impossibile. Un lavoro da burocrati. Chi lavora la terra, chi vive la precarietà della vita di campagna sa che è impossibile trovare regole univoche, perché le condizioni cambiano “da palmo a palmo” e ogni anno le regole sono diverse anche in aree geograficamente definite e limitate come quella etnea.
I vini dell’Italia
Negli anni Sessanta, nel mondo enologico italiano, i vini dell’Italia del Sud erano troppo spesso impropriamente considerati vini da taglio. Questa semplificazione accomunava tutti i vini ed anche i modesti sforzi produttivi di coraggiosi lavoratori che timidamente si affacciavano al mondo della qualità e della complessità sembravano vanificati da questa arcaica generalizzazione. Si assisteva in quegli anni al grande esodo di manodopera dalla campagna.
Il fenomeno era tanto più grave in quelle aree dove la produzione agricola era particolarmente faticosa e costosa. C’era molta confusione e la produzione del vino dell’Etna faticava a trovare una identità forte a causa della grande frammentazione del territorio.
Il vigneto etneo
attraversava una crisi diffusa e le ragioni avevano radici profonde. La crisi, iniziata nel 1888 a causa della rottura commerciale con la Francia, aveva segnato un vero spartiacque commerciale. Negli anni compresi tra il 1860 e il 1888 i vigneti sull’Etna erano cresciuti enormemente, erano la coltura principale e poco spazio veniva lasciato ad altre coltivazio-
- Tutto il vino prodotto nei palmenti e che non veniva consumato sul luogo re si occupava della vinificazione all’interno della proprietà, partiva dal porto di Riposto grazie alla febbrile attività bene notare come ogni agricoltore. Si era passati da una esportazione di circa 500.000 ettolitri nel 1878 a oltre 3 milioni e mezzo nel 1887.
Un incredibile sviluppo economico e sociale. Circa 1’85% del vino esportato navigava verso la Francia. I grandi benefici economici legati al commercio con la Francia e l’euforico incremento delle produzioni avevano tenuto in ombra le piccole produzioni montane, luoghi dove si tramandavano esperienze millenarie i cui vini, di pregio, erano apprezzati ed esportati in Inghilterra, a Rio de Janeiro, a Buenos Aires, in Canada e a Montevideo.
Nel febbraio del 1888, assecondando le logiche di protezionismo commerciale, entrarono in vigore i nuovi dazi doganali che, salendo vertiginosamente, vanificarono ogni tentativo di commercio con la Francia. La chiusura improvvisa di un mercato tanto importante gettò nello sconforto e nella desolazione tutto il comparto.
Tutta la filiera era in crisi, moltissime aziende fallirono: commmercianti, artigiani, segherie, bottai e ovviamente agricoltori
- Tutti i vigneti di pianura furono dapprima abbandonati e in seguito convertiti in agrumeto; quelli nelle quote più alte del vulcano subirono un graduale ma veloce abbandono, poiché la produzione vinicola ad alta quota.